martedì 28 ottobre 2014

Naadam - le gare di lotta

I nomadi della Mongolia vivono per la maggior parte dell’anno in piccoli nuclei familiari, isolati tra montagne e pianure. Si ritrovano però regolarmente in estate in una grande festa di sport, giochi e incontri, dove si affermano talenti, nascono amicizie e si fondano matrimoni: il Naadam.

La festa dura alcuni giorni e si muove attorno a gare di tiro con l’arco, lotta e sfrenata corsa a cavallo su quelle terre piatte, distese verso un orizzonte sfumato.

Arrivo a piedi allo stadio di Ulaangom, cittadina nel nord-ovest della Mongolia, mischiata a
una folla di persone abbigliate in tuniche ricamate.  


All’ingresso tanti gruppi hanno steso delle coperte in un breve prato prima delle tribune e si sono già accomodati a giocare a carte e a chiacchierare, altri (me compresa) si fanno fotografare davanti a sfondi che raffigurano picchi innevati e cavalieri.




















 Mi scelgo un posto in tribuna mentre inizia la presentazione degli atleti. Sfilano nello stadio nell’eccitazione generale di pubblico e organizzatori.
Mentre osservo la parata noto proprio di fronte a me, nelle tribune opposte, il settore riservato alle autorità e al presentatore che al microfono sta probabilmente dando il benvenuto e annunciando il programma delle gare. Dietro di loro c’è un gran viavai di persone, scambi di battute, fotografie. Forse sono giornalisti? Mi incuriosisco e vado a dare un’occhiata. 

Ci si può muovere liberamente nello stadio, i posti non sono numerati e ci si può spostare dove si crede. Mi avvicino con aria circospetta a quella che ritengo la tribuna d’onore, dubitando che mi faranno entrare, soprattutto quando mi accorgo che c’è un uomo ritto al suo ingresso in cima alla gradinata.
Salgo comunque e gli chiedo il più gentilmente possibile in un inglese accompagnato da gesti esplicativi se posso entrare per vedere meglio. Mi risponde facendosi da parte e lasciandomi il passaggio, come se fosse la cosa più normale che si potesse chiedere.


  
Così mi ritrovo tra le autorità e i coordinatori delle gare che stanno sfogliando programmi e direttive. Comincio anch’io a farmi fotografie con gli uni e gli altri, poi mi siedo a seguire le gare di lotta che stanno per cominciare.






Nel mezzo dello stadio hanno sistemato tende e tavoli, e alcuni anziani vi stanno prendendo posto. Vedo una piccola troupe televisiva con microfoni e telecamere che si aggira tra di loro a intervistare, sento il grande fermento, come vorrei essere anch’io là in mezzo! 


Mi guardo attorno, osservo di nuovo gli organizzatori indaffarati, e di nuovo mi soffermo su quello che sembra uno dei capi da come corre dal tale e dal tal altro senza perdersi nulla di quel che succede. Ha l’aria simpatica, si muove rapido ed efficiente ma senza ansia.
Come mi capita a tiro lì nella tribuna principale lo chiamo: ” Mi scusi” gli chiedo nel mio inglese figurato “ sono una giornalista italiana, mi piacerebbe andare proprio sul prato dello stadio per seguire le gare più da vicino… vorrei fare foto e vedere bene i lottatori… si può? Sarebbe fantastico se potessi…”

Non ho ancora finito l’ultimo gesto che lui si stacca il cartellino che ha appuntato sul petto, me lo dà e mi indica con grande semplicità nel suo mongolo figurato di andare pure sul campo, tra i lottatori, dove voglio…
!
Sono senza parole, lo abbraccerei ma mi limito a stringergli la mano il più calorosamente possibile mentre la mia gratitudine si riversa su di lui intrattenibile dai miei occhi stupiti.

Ancora, non potevo fargli una richiesta più normale!

Allora scendo in campo!

Vado alla tenda degli arbitri dove mi accolgono sorridenti, sbircio le liste degli incontri insieme ai lottatori, vorrei farmi spiegare, ma i gesti qui non bastano più.







Accetto l’invito di sedermi tra di loro e mi sistemo sull’erba.









Entrano i lottatori in fila e si dirigono verso il centro del campo per una breve cerimonia che avvia ufficialmente le gare.

 
Così, questi uomini massicci e corpulenti si producono in un balletto di saluto con lente giravolte e inchini, come danzatori classici su un palcoscenico: ma non sono affatto comici, ogni loro movenza è stranamente leggiadra, i loro sguardi seri e sereni, alcuni ispirati.


Ritornano poi ad allinearsi a ridosso delle tribune, pronti ora a combattere: via alle lotte!


Varie coppie scendono in campo a sfidarsi, chi vince prosegue all’incontro successivo.
Mi avvicino a due contendenti tenendomi più o meno alla stessa distanza dell’arbitro, mi accuccio sul prato per guardarli negli occhi e muovermi svelta senza intralciarli. 
 

I due si stanno studiando, senza sfiorarsi si osservano muovendosi lentamente, pronti a schivare e a contrattaccare. Ma per un po’ nessuno osa lanciarsi: un accenno all’azione ogni tanto, una finta, ma senza contatto, solo per vedere le reazioni dell’altro. 
Poi finalmente uno dei due sferra un allungo e agguanta il braccio dell’altro e la vera lotta comincia. Tiri, spinte, ancora giravolte per non perdere l’equilibrio, pochi secondi di corpo a corpo, separazione per una nuova rincorsa: si mira alla vita, ad agguantare le braghe dell’altro per sollevarlo e stenderlo.


Certe lotte durano vari minuti e i due si prendono e rilasciano ripetutamente, finché i loro corpi luccicano di sudore e i loro occhi cominciano a velarsi per lo sforzo.
Io seguo ogni movimento, ogni stretta di pugno, ogni sbuffo affannato, finché il meno stanco s’impone e con una mossa risolutiva afferra l’altro e lo schiaccia schiena a terra.

Poi il vinto si rialza e tranquillo ritorna verso le tribune, il vincitore corre al centro del campo e con semplicità, senza atteggiamenti trionfali, va a rendere omaggio agli anziani accettando con un nuovo balletto i loro elogi. 


Vincere o perdere sono gli avvenimenti più normali.

Umanità che si cerca, ascolta, offre, riceve, si confronta, ringrazia… con naturale umanità.

Con le ragazze della TV




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